Storia

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Chernobyl storia di un disastro

per capire il presente occorre conoscere il passato”

La centrale nucleare di Chernobyl era situata in Ucraina, nei pressi della cittadina di Припять (traslitterato in Pripjat) , una cittadina nata nei primi anni settanta per ospitare i lavoratori della centrale e che al momento del disastro e del successivo abbandono contava circa 47000 abitanti, la maggior parte dei quali lavorava nella centrale nucleare.

La centrale era una centrale di relativamente nuova costruzione, infatti il reattore numero 4 era entrata in servizio solo da pochissimi anni, ma era stata costruita con una tecnologia antica e con scarse protezioni contro l’eventuale dispersione di materiale radioattivo nell’atmosfera.

Il 26 aprile 1986 alle ore 01,23  del mattino mentre un gruppo di ingegneri stava effettuando un test di sicurezz il reattore n°4 della centrale di Chernobyl espolse, diffondendo nell’atmosfera circa 50 tonnellate di matriale radioattivo.

Lo scopo del test era quello di verificare se il il sitema di raffreddamento del reattore , potesse funzionare anche in caso di mancanza di energia elettrica. 

Per effettuare il test, era necessario diminuire fortemente la potenza del reattore, ma non si sarebbe mai dovuti scendere al di sotto della potenza minima, pena l’instabilità del reattore.

Qualcosa non funzionò a dovere, ed alle ore 01,23 di notte a causa del calo di energia , tutta l’acqua di raffreddamento evaporò.

Gli addetti cercarono di recuperare il controllo del reattore, attivando il dispositivo di emergenza, ma senza riuscirci, a questo punto la potenza del reattore aumentò a dismisura fino a diventare 100 volte superiore del normale.

Dopo alcuni secondi ci furono due esplosioni: il tetto a cupola del reattore saltò in aria, ed il contenuto, circa 50 tonnellate di carburante nucleare, si diffuse nell’atmosfera. 

(tratto dal sito www.studenti.it/)

Era l’una e venticinque di notte e le fiamme si sprigionavano alte decine di metri nel locale del reattore, l’allarme suonò alla caserma interna dei pompieri numero 2 della centrale di Chernobyl: nella stanza di controllo c’era una pulsantiera luminosa con centinaia di spie collegate ai rivelatori di fiamma, uno per ogni stanza del complesso; erano accese tutte.

Quella notte di guardia c’era Anatoli Zakharov, pompiere veterano dislocato a Chernobyl dal 1980: tra i primi a partire, appena sceso dal camion accanto all’edificio in fiamme non ci mise molto a capire da dove provenissero i pezzi di grafite incandescente conficcati nell’asfalto fuso del piazzale, portati dall’esplosione del reattore; disse: “mi ricordo che scherzavo con gli altri: ci deve essere una quantità incredibile di radiazioni, qui. Siamo fortunati se domattina siamo ancora vivi…”

I detriti incandescenti del reattore avevano innescato l’incendio della guaina bituminosa di copertura dei tetti degli edifici adiacenti, rischiando di fare propagare l’incendio al locale turbine o, peggio ancora, al vicino reattore numero 3; così mentre Zakharov rimase a presidiare il camion fermo sul piazzale il tenente Pravik prese con sé gli altri vigili della squadra e, appoggiata una scala, salì sul tetto per spegnere il fuoco della copertura.

Fu l’ultima volta che Zakharov vide i suoi colleghi vivi; erano privi di abbigliamento protettivo o dosimetri: i detriti radioattivi si erano fusi con il bitume incendiato e, quando il fuoco venne spento cominciarono a spostare e togliere a mani nude i pezzi di copertura per poter procedere verso il cuore dell’incendio, supportati dai rinforzi arrivati dalla vicina città di Pripyat.

Pravik e i suoi uomini riuscirono a portare le condotte d’acqua fino all’orlo del reattore in fiamme, in una ultima, eroica e purtroppo inutile azione di coraggio: la grafite delle barre di controllo esplose bruciava a oltre 2000 gradi, e continuò a farlo per molti mesi, indifferente a tutta l’acqua che le veniva buttata addosso.

I pompieri di Chernobyl vennero esposti ad una dose di radiazioni letali superiore perfino alle vittime di Hiroshima, dove si produssero raggi gamma solo nell’istante della detonazione e a 2500 piedi di altezza.

I vigili in azione sul tetto del reattore rimasero in loco per più di un’ora, esposti a raggi gamma e neutroni emessi dall’uranio e dalla grafite radioattivi in fiamme, a dosi di 20.000 roentgen/ora (la dose letale è di 400): dopo 48 secondi di esposizione la loro morte era sicura.

Vennero rilevati dai colleghi e portati, con febbre e vomito, in ambulanza all’ospedale locale e da qui trasferiti a Mosca all’ospedale numero 6, specializzato nel trattamento delle radiazioni.

Qui morirono dopo due settimane, vittime di esposizioni talmente intense da far diventare blu gli occhi castani del tenente Vladimir Pravik; il pompiere Nikolai Titenok subì ustioni interne così severe da presentare ulcerazioni al muscolo cardiaco; tutti vennero sepolti in sarcofagi sigillati in piombo.

Purtroppo le condizioni atmosferiche peggirorono la sitazione, infatti tra il 26 ed il 27 aprile il vento soffiava verso la Bielorussia e gli stati Baltici, mentre i  giorni successivi si diresse prima vero N/O-Ovest investendo gran parte dell’Europa Italia compresa, per poi ritornare ad investire i paesi del blocco sovietico , la Grecia e la Turchia……. in poche parole un disastro!!!

tratto da http://www.helpforchildren.it/incidente/deceduti/deceduti.html

L’emissione di vapore radioattivo cessò sabato 10 maggio 1986.

Liquidatori di Chernobyl

Monumento dedicato ai pompieri intervenuti la notte del disastro.


La scrittrice Svetlana Aleksievic ha raccolto nel suo libro “preghiera per Chernobyl” (che consiglio a tutti di leggere ndr) la testimonianza della moglie di uno di quei 28 vigili del fuoco, Ljudmila Ignatenko: «In piena notte sento un rumore. Guardo dalla finestra. Lui mi vede: “Chiudi le soprafinestre e torna a dormire. C’è un incendio alla centrale. Tornerò presto”». Parole che riecheggiano come uno strano scherzo del destino: quella notte Vasilij Ignatenko è costretto per senso del dovere a spostare materiale radioattivo a pochi metri dal reattore.«il tetto della centrale era coperto di bitume. Più tardi lui mi racconterà che ci avevano camminato sopra ed era molle come la pece. Loro spegnevano le fiamme. Gettavano giù a pedate pezzi di grafite incendiati… Erano partiti così com’erano, in camicia, senza indossare la tuta protettiva. Non li aveva avvertiti nessuno, li avevano chiamati come per un normale incendio». Vasiliji a casa non ci è mai tornato. Così come molti altri appartenenti alle squadre di primo intervento di Chernobyl. Viene portato direttamente in ospedale, ma a Ljudmila non è permesso entrare per assistere il marito. Alla fine, grazie ad una conoscente impiegata presso l’ospedale, la giovane donna entra e riconosce il marito in uno stato terribile: «L’ho visto… Tutto gonfio, tumefatto… Quasi non gli si vedevano più gli occhi… “Ci vuole del latte. Molto latte” mi ha detto la mia conoscente. “Devono berne almeno tre litri al giorno”. Oltre ad alcuni medici, molte infermiere e soprattutto ausiliarie di quell’ospedale di lì a qualche tempo si sarebbero ammalate… sarebbero morte… ma allora non lo sapeva nessuno…»
Già nessuno. Proprio come Vasiliji, tutti i liquidatori di Chernobyl che intervennero tempestivamente nei giorni che seguirono l’incidente, erano all’oscuro dei reali effetti delle radiazioni, come si evince dalla stessa testimonianza di Ljudmila: « Nessuno parlava di radiazioni… Soltanto i militari indossavano delle maschere… I cittadini portavano a casa il pane comprato nei negozi: sporte piene di panini, aperte… I dolci erano esposti sui banconi, senza nessuna protezione… ».

Ciò che preme riportare alla memoria sono due ultimi estratti delle testimonianze di Ljudmila Ignatenko, angoscianti, se ci si ferma a riflettere sulla solitudine patita in quei giorni dalla giovane coppia: «Finché restavo con lui evitavano di farlo… Ma quando io non c’ero lo fotografavano… Indosso non aveva niente, coperto solo da un lenzuolino leggero»; e ancora: «Quando esco in corridoio dico all’infermiera: “Sta morendo”. E lei mi risponde: “E cosa credevi? Ha ricevuto milleseicento Rontgen quando la dose mortale è di quattrocento. Sei accanto a un reattore

riassunto tratto dahttp://www.lineadiretta24.it/esteri/liquidatori-di-chernobyl-chi-sono.html

Il governo sovietico inizialmente cercò di tenere nascosta la notizia di un grave incidente nucleare, ma lamattina  del 27 aprile, nella relativamente vicina Svezia, alcuni lavoratori in ingresso alla centrale di Forsmark fecero scattare l’allarme ai rilevatori di radioattività. Si suppose, visto l’elevato livello dei dati, che vi fosse una falla all’interno della centrale e i responsabili cominciarono immediatamente a fare controlli in tutti gli impianti. Assicuratisi che le loro centrali fossero perfettamente in sicurezza, cominciarono a cercare altrove la fonte delle radiazioni e giunsero così fino in Unione Sovietica. Chiesero spiegazioni al governo domandando perché non era stato avvisato nessuno. Dapprima il governo sminuì la cosa ma ormai gli svedesi, con i loro controlli, avevano messo al corrente l’Europa intera che un grave incidente era occorso in una centrale sovietica. Il mondo intero cominciò a fare pressione e finalmente rilasciarono le prime e scarne dichiarazioni sull’incidente che fecero il giro del mondo.                                           

(riassunto tratto da Wikipedia)

liquidatori di Chernobyl

Vorrei aprire una piccola parentesi a riguardo dei “liquidatori”

I liquidatori sono quel piccolo esercito di persone che finita la prima parte dell’emergenza, lavorarono , spesso in condizioni disperate per mettere sotto controllo e cercare di recuperare tutto il materiale radioattivo ….

sicuramente questo piccolo esercito di persone era mosso dai più disparati motivi, alcuni di ordine economico, altri per patriottismo, altri per senso del dovere ecc.

a tutti fu promesso, in cambio di un prestabilito numero di ore di servizio, la possibilità di un pensionamento anticipato e un salario durante il servizio. Alcuni, provenienti dalle campagne, si fecero avanti o per sostenere economicamente la famiglia o mossi dalla povertà tipica dei contadini russi. I giovani, in particolar modo, erano entusiasti di ricevere uno stipendio vero e guadagnarsi la pensione servendo il proprio paese. Purtroppo molti di loro non arrivarono a maturarla.

Alcuni di loro seguirono direttamente la costruzione del “sarcofago” Altri avevano incarichi prevedevano il trattamento del territorio, le docce necessarie sulle strade e sui palazzi, lo smaltimento di scorie. Circa 300 furono incaricati dell’interramento di materiale radioattivo in tutta la zona oggi interdetta. Gli elicotteristi avevano il compito di sganciare sul reattore incandescente, tonnellate di Boro, Dolomia e silicati per spegnere l’incendio nel cuore della struttura. L’esposizione diretta sopra la centrale ha sottoposto questi ultimi a livelli mortali di radiazioni che ne hanno causato il decesso entro breve tempo.

Nel 1991 furono assicurati ai liquidatori diversi diritti, tra cui l’assistenza sanitaria gratuita e la possibilità di viaggiare gratuitamente sui mezzi pubblici, ma con il passare degli anni alcuni privilegi sono stati soppressi. Ora versano in condizioni di estrema povertà senza avere nemmeno più la possibilità di curarsi.

Molti percepiscono un equivalente di appena 70 euro al mese e, a causa della povertà e della depressione conseguente, sono diventati alcolizzati. ( durante uno dei nostri viaggi periodici in Russia , abbiamo conosciuto alcuni  liquidatori che ci hanno raccontato di quei giorni……

Una delle cose che ci ha più colpito è il fatto che era stato detto a loro che per diminuire gli effetti delle radiazioni dovevano bere tanto latte e …. tanta vodka……n.d.a.)

Stele in ricordo dei liquidatori a Karkov

Altissimo è il numero degli invalidi, fra coloro che portarono il loro aiuto, a causa di svariate patologie di natura oncologica o per malattie legate all’immunodeficienza. Numerosi fra loro hanno subito l’amputazione degli arti per tumori o per le ustioni riportate dall’esposizione acuta da radiazione

10 000 di questi morirono entro breve tempo e altri 400 000 si ammalarono gravemente. Ancora oggi risentono degli effetti delle radiazioni e continuano a perire divorati dal  cancro o da patologie conseguenti l’intossicazione da radiazioni. Un’équipe britannica ha riscontrato anomalie nei cromosomi di svariati campioni.

Uno studio congiunto israelo-ucraino, pubblicato dalla Royal Society of Medicine di Londra nel 2001, ha provato che i figli dei liquidatori di Chernobyl nati dopo il disastro del 1986 hanno una incidenza di danni cromosomici maggiore di sette volte rispetto ai fratelli nati prima dell’incidente nucleare..[7]

Greenpeace scrive nel Rapporto del 2006:

Oggi è chiaro che Cernobyl ha causato un incremento considerevole dei casi di tumore, in particolare nelle aree fortemente contaminate e tra i ‘liquidatori’. I ‘liquidatori’ della Bielorussia, ad esempio, mostrano un’elevata incidenza di tumori ai reni, alla vescica e alla tiroide nel periodo 1993 –2003. La leucemia è considerevolmente alta nei ‘liquidatori’ ucraini, negli adulti bielorussi e nei bambini delle aree più contaminate della Russia e Ucraina.

Possiamo affermare senza alcuna retorica che, senza il sacrificio di queste persone , il disastro avrebbe assunto dimensioni inimmaginabili

Già nel 1991, grazie all’incontro tra Legambiente ed alcuni volontari Bielorussi, nacque il progetto Chernobyl. Negli anni successivi, Legambiente fece numerosi viaggi di studio nei territori contaminati, per la raccolta dei dati e l’avvio dei rapporti di collaborazione con istituzioni ed organismi locali, che hanno reso possibile, nel 1994nel 1994, la prima esperienza di ospitalità estiva e l’invio di aiuti umanitari a favore dei bambini.

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